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Perché Sanremo è Sanremo. Dicono. Dico.

Richiesta ufficiale. Seriamente. Chi ne ha il potere liberi la sigla di Baudo. Perché Sanremo è Sanremo e sarà per sempre meraviglioso. Ma con #parappappapaparà lo sarebbe ancora di più, anzi dippiù.

Avvertenza: è un post lungo e scritto di fretta. Vogliatemi bene lo stesso.

Quindi scrivo: da una stanza freddissima. Che sembra di stare in una baita di alta montagna, sotto al piumone con il maglione di lana. Probabilmente se muovo le mani sulla tastiera mi scaldo. Proviamoci. Partendo da: ci sono cose che non cambiano mai.

Il viaggio in treno che dura un’eternità. Parliamone, davvero. Com’è possibile che per un milanese la Liguria sia un luogo così complicato da raggiungere, quando dovrebbe essere a portata di week end sulle rotaie? Quasi quattro ore per arrivare a San Remo. Che il nuovo treno Thello, yuppi ye, arriva fino a Marseille e mi unisce Italia alla Francia, oh wow (sì ok, ma quanti giorni dopo? Il viaggio della speranza. Però che bello quando dal finestrino spunta il mare).

L’albergo un po’ bettola. Che se è sempre il solito ci sei anche affezionata e non vedi più i difetti. Se è nuovo (perché il solito ha cambiato gestione e ciao, non ti ha tenuto la stanza), qualche difetto in più ce l’ha (ho freddo). Ma mi adatto in fretta (ho freddo): alla salita, alla piccolezza della stanza, alla temperatura gelata (che la doccia è una prova di forza, ma si sa che il freddo tonifica.). Quando arriverà la tua collega con panza sarà tutta un’altra storia, ma intanto. Ma quel che conta è avere un posto dove dormire, no? Dicono.

La gioia di arrivare sul lungomare e bere un cafffè, che in meno di un minuto hai caldo e ti togli la giacca. E ti chiedi come sia possibile che ogni anno, ogni santissimo anno, non porti i tuoi bimbi in Liguria a svernare, almeno per un week end. E te lo riproponi. Ma non lo fai mai. Ma intanto chiudi gli occhi al sole. Con il rumore del mare. Voglio vivere al mare.

Il peso del computer sulle spalle. Che il giorno in cui lo cambierò comprerò un apple leggerissimo (e forse quel giorno non è neanche poi così lontano visto che oggi ho temuto di averlo “perso” per sempre. Poi, grazie alla mia capacità di lamentarmi ad alta voce con chiunque e in qualsiasi situazione, ho trovato un suggerimento provvidenziale. Che qui riporto, perché se capita anche a te è giusto che tu sappia. Se il cavo non carica più, e non è un problema del cavo, compra una replay, la penna con il gommino blu, se non c’è la replay occhei anche una matita rosa con la gomma rosa, e passala sul contatto del cavo. Non si sa come, resusciterà. Motivo per cui l’apple air da 11 pollici per fortuna lo compro un’altra volta e per ora questo qui ancora va. Ogni tanto sgommo, per sicurezza).

Il numero di passi di ogni giorno: tanti. Perché l’albergo non è mai dietro l’angolo, poi vai in sala stampa, poi all’intervista nell’albergo in fondo al lungomare, poi di nuovo in sala stampa, poi a pranzo dall’altra parte, poi in un altro albergo che quasi sicuramente è dall’altra parte ancora e su e giù, cammina cammina. E con il computer sulla spalla, quello pesante, vale come tre mesi di palestra. Forse dieci. Facciamo che è ok se non mi iscrivo anche quest’anno, quindi)

La bellezza di essere qui: questo è il mio quinto sanremo. Che è niente, rispetto al numero della maggior parte dei tuoi colleghi qui. Ma tu, quei cinque, te li ricordi bene e sai anche quanto è cambiato. Il primo, con una Patata piccolina, che figurati se la lascio a casa da sola, e una nonna al seguito, per tenerla durante le interviste. E tre giorni. Di pioggia ininterrotta. Senza conoscere quasi nessuno. Comunque bello, perché il primo (o grazie, Vero, di avermi mandata). Il secondo. Da sola. Sempre tre giorni. Perché quella Patata un po’ cresciuta, potevi mica lasciarla da sola per troppo (che belle le mamme al primo giro, con le nostre paranoie). Il terzo, con panza. E un leoncino al suo interno. Quattro giorni. Forse cinque. Con qualche amico in più, soprattutto una. Che aveva appena cambiato lavoro e con quel nuovo lavoro vinceva il festival. E niente, iniziavo a scoprire il significato di capotifoseria. Il quarto. Tutta la settimana. Da domenica a domenica. La prima settimana lontana. Con i primi giorni un po’ troppo da sola e poi la svolta, perché in caso di bisogno faccio amicizia anche con i muri. E quei muri me li sono portati anche in città e quanto rido. Il quinto. Questo (che forse in realtà è il sesto, ma non son mai stata brava con le date). Con un anno alle spalle molto più ricco di collaborazioni. Di giornali, di libri, di siti. E niente, ti senti un po’ di più parte del tutto e la prima cena è già nel cassetto dei bei ricordi. E anche se al lunedì c’è sempre quella sensazione straniante del “ma non sarà troppo lunga questa settimana”, perché alla sera non c’è il festival e sei in stanza a scrivere (ho freddo), sai che è solo l’inizio, e da domani si inizia a ridere davvero (o grazie, Vale, che continui a mandarmi).

Non cambia che arrivi in sala stampa e trovi un foglio con sopra tutti gli indirizzi da contattare per ottenere le interviste. Alcuni li hai già in rubrica, altri no. Alcuni ti rispondo subito. Altri mai (a meno che tu non sia la serie A del giornalismo musicale, eggià, e allora probabilmente non hai neanche bisogno di chiamare, te li portano loro su un vassoio d’argento). È tutto un gioco di incastri, per cui lo capisci anche chi non ti fa sapere nulla. Probabilmente non saprebbe neache cosa dirti né dove metterti, tu però continua a sperare che a un certo punto trovi un posto per te, soprattutto se chi vuoi intervistare è tra i tuoi prefereriti.

Non cambia che le prove sono al cosa più bella del mondo. Sentire le canzoni dal teatro, vedere i cantanti provare il proprio pezzo, soprattutto a festival non ancora iniziato, è bellissimo. Quasi più che intervistarli (ma solo quasi). Quest’anno è successa questa cosa bizzarra per cui alcune canzoni che mi erano sembrate bellissime al primo ascolto, su cd, durante le prove non mi sono piaciute più. E viceversa. Oggi ho voluto giocare a dare un voto ai brani, tanto per capire chi mi stesse piacendo di più. E ho capito che.

Dear Jack e Fragolino mio sono fuori gara (e non è colpa mia se me li han messi gli uni contro l’altro). Il voto è un cuore. Son capotifoseria e punto. #Teamcuoricini.  Sono di parte, in radio le canteremo a squarciagola. Amoli. Sia messo agli atti. Ciao.

Il mio voto più alto lo han preso Chiara e Malika. Due canzoni belle belle. Quella di Chiara mi piacerà, credo, a ogni ascolto un po’ di più. Che magari finisce come è finita Controvento, magari no. Irene grandi era lì lì, su cd ho quasi pianto. Dal vivo meno. Ma è davvero una bellisissma canzone e a ‘sto giro la dedichiamo alla zia Tata, ciao zia, scusa se domani non sarò lì.

Le kokke di kekko hanno tre canzoni che mettono in risalto le loro voci (e kekko a quanto pare, non ne sbaglia una). Anna Tatangelo è la signora, o muchacha, e potrei farci (davvero) amicizia, sai le gag, a Bianca Atzei voglio già bene, a Annalisa già ne volevo, da un bel po’.

Nesli è Nesli. Diverso dagli altri, lo sa lui per primo, ma è contentone di essere qui. E a me lui piace. Buona fortuna a lui.

La canzone di Masini sta piacendo tanto. A me crea uno scompenso adolescenziale perché, a volte è giusto fare outing, da piccola ascoltavo solo lui. Roba che mio papà gli aveva scritto una lettera, senza dirmelo (meno male). Ma se l’aveva fatto, è evidente di quanto avessi sfracassato le orecchie pure ai miei genitori, in loop super sofferente e cantante, su ci vorrebbe il mare e simili. Gli voglio bene, ma oggi non so.

Quella di Raf era la più bella. Oggi no.

Moreno è un po’ un pesce fuor d’acqua in questo Sanremo, ma la canteremo. Io la canterò. E comunque di educati e gentili come lui, ce ne sono pochi. Cuoricini anche a lui.

Britti, Grignani, Nek. Tanti cuori anche a loro, ma meno (sì, può sembrare che abbia ragione chi dice che voglio bene a tutti. Non è vero in realtà, ma è un attimo che mi scatta l’affetto a prescindere, soprattutto se son stati colonna sonora radiofonica di un pezzo di vita. Ma, non ditelo ai diretti interessati, quelli che qui non sono citati, che “non mi sono arrivati”  come direbbero gli esperti. Oppure che mi stanno proprio sulle palle, come direbbero i francesi.)

A Il volo non ho dato voto. Ho scritto vincono. Che non so se sarà davvero così, ma diomio, l’Ariston, con loro che cantano, viene giù. L’hastag ufficiale sarà #grandeammmmuore. Sia messo agli atti che non indovino quasi mai prima del terzo ascolto, ma a ‘sto giro forse è facile.

Ecco quindi. Il festival comincia domani. Io sto già cantando da oggi.

#teamdiaggiec #teamfragolinomio. Twitterò come una pazza (@silviagianatti, FYI). Da dar fastidio a chi non lo seguirà. Ma in fondo non sarò la sola.

Quindi mi fermo. Potrei andare avanti a scrivere ancora per molto. Ma anche no. Perché sì, il succo è che ci sono cose che non cambiano mai. Ma alla fine, ogni elenco è inutile. Non stiam qui a girarci intorno, su. La più importante è solo una.

Ed è lui.

Buon festival a tuttti.

 

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Comments (2)

  1. La canzone di Chiara è bellerrima!
    I Dear Jack dopo Tiziano Ferro che ha tirato giù il teatro però sembravano capitati li per caso. Forse erano emozionati ma la canzone non mi è piaciuta per niente.
    Britti mi è diventato brizzolato.
    Tiziano Ferro…. wow…. _sospiro!

  2. Ahhahah! Diario di una freelance a Sanremo… troppo carino! E le riflessioni da mamma in vari stadi di avanzamento sono anche meglio 😉